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Vinicio Venturi

In a porcelain existence, one feels the need to ensure
that everything goes well, for fear of stumbling
in their hopes and finding themselves in a pile of shards.
EMILY DICKINSON, LETTER to SAMUEL BOWLES (1858)

A motor that breathes. The first time I saw a work by Vinicio Venturi, I was struck by its effective melancholy. These machines are useless, true, but they’re also profoundly sad: they move objects, they move, they do jobs without purpose (caps turned, a bottle that turns on itself. If they’re sad, it also means they’re partly human.
What matters is Vinicio’s ability to create something constantly suspended, always halfway between two apparently very distant territories: mechanics and narratives, the being of an object and the becoming of a life.
Look around you. In fact, these objects have already stopped being objects - almost without us realizing it - and have begun to become something else: characters. In fact, you can concentrate and become attached to events that are not vicissitudes, to these very humble and very obstinate beings who continue to do what they're doing.
Ignoring the fact, and the idea, that everything is precarious and unmoored.
Concentrate a little more, and suddenly we realize that our existence is made exactly this way: it is precarious, temporary, invisible, indeterminate, elusive. We’re as ridiculous as these characters-machines. Every day we experience the gap between what should be and what it is: why should works of art behave differently? Why should they be anything else, coming as they do from an otherwise aseptic, clean, pure place to be dropped into an equally aseptic, clean, pure space?
Base-rod-engine part: Vinicio doesn’t need anything else to show us "what it means to be alive at a certain moment" - ours, this present.
Bankruptcy is just around the corner, it’s all around us - and perhaps it’s also the only possible salvation. Because in front of these machine-characters who experience their programmed fall minute after minute, we’re already caught: we feel a bit sadder, but less alone.
Christian Caliandro

Vinicio Venturi

In un’esistenza di porcellana, uno sente il bisogno di assicurarsi
che tutto vada per il meglio, per paura di inciampare
nelle proprie speranze e ritrovarsi in un mucchio di vasellame in pezzi.
EMILY DICKINSON, LETTERA A SAMUEL BOWLES (1858)

Un motore che respira. La prima volta che ho visto un’opera di Vinicio Venturi, sono stato colpito dalla sua efficace malinconia. Queste macchine sono inutili, è vero, ma sono anche profondamente tristi: muovono oggetti, si muovono, compiono lavori senza scopo (tappi rivoltati, una bottiglia che gira su se stessa): e se sono tristi, vuol dire anche che sono umane.
Ciò che è importante, è la capacità di Vinicio di realizzare qualcosa che è sempre sospeso, sempre a metà strada tra due territori apparentemente lontanissimi: la meccanica e la narrazioni, lo stare di un oggetto e il divenire di una vita.
Guardatevi intorno. Di fatto, questi oggetti hanno già smesso – senza quasi che noi ce ne accorgessimo – di essere propriamente oggetti, e hanno cominciato a diventare qualcos’altro: personaggi. Potete concentrarvi, infatti, e affezionarvi man mano a vicende che non sono vicende, a questi esseri molto umili e molto ostinati che continuano a fare ciò che stanno facendo.
Ignorando il fatto, e l’idea, che tutto sia precario e disancorato.
Basta concentrarci un altro po’, e improvvisamente registriamo che la nostra esistenza è fatta esattamente in questa maniera: è precaria, provvisoria, invisibile, indeterminata, sfuggente. Siamo ridicoli come questi personaggi-macchine. Facciamo quotidianamente esperienza della divaricazione tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è: perché allora le opere d’arte dovrebbero comportarsi in maniera diversa? Perché dovrebbero essere altro, provenire da un altrove asettico, pulito, puro per essere calate in uno spazio altrettanto asettico, pulito, puro?
Base-asta-parte motore: a Vinicio non serve altro per mostrarci “che cosa vuol dire essere vivi in un determinato momento” – il nostro, questo presente.
Il fallimento è dietro l’angolo, è proprio qui attorno a noi – ed è forse anche l’unica salvezza possibile. Perché di fronte a queste macchine-personaggi che sperimentano minuto dopo minuto la propria caduta programmata, siamo già catturati: ci sentiamo forse un pochino più tristi, ma improvvisamente meno soli.

Christian Caliandro